sabato 27 luglio 2013

Proclama Reale di Francesco II di Borbone dalla sua fortezza di Gaeta

In questa pagina riportiamo il proclama reale che il re Francesco II di Borbone rivolse ai suoi sudditi dalla fortezza di Gaeta dove si era rifugiato, a seguito della "Spedizione dei Mille", nell'estremo tentativo di difendere la sua corona di Re delle Due Sicilie.

Francesco II nella fortezza di Gaeta

Proclama Reale
POPOLI DELLE DUE SICILIE
Da questa piazza dove difendo più che la mia corona l'indipendenza della Patria comune, si alza la voce del vostro Sovrano per consolarvi delle vostre miserie, per promettervi tempi più felici. Traditi ugualmente, ugualmente spogliati, risorgeremo allo stesso tempo dalle nostre sventure; ché mai ha durato lungamente l'opera della iniquità, né sono eterne le usurpazioni. Ho lasciato perdersi nel disprezzo le calunnie; ho guardato con isdegno i tradimenti, mentre che tradimenti e calunnie attaccavano soltanto la mia persona; ho combattuto non per me, ma per l'onore del nome che portiamo. Ma quando veggo i sudditi miei che amo tanto in preda a tutti i mali della dominazione straniera, quando li vedo come popoli conquistati portando il loro sangue e le loro sostanze ad altri paesi, calpestati dal piede di straniero padrone, il mio cuore napolitano batte indegnato nel mio petto, consolato soltanto dalla lealtà di questa prode armata, dallo spettacolo delle nobili proteste che da tutti gli angoli del Regno si alzano contro il trionfo della violenza e dell'astuzia. 

Io sono napolitano; nato tra voi, non ho respirato altra aria, non ho veduto altri paesi, non conosco altro che il mio suolo natio. Tutte le mie affezioni sono dentro al Regno: i vostri costumi sono i miei costumi; la vostra lingua è la mia lingua; le vostre ambizioni mie ambizioni. Erede di un'antica dinastia che ha regnato in queste belle contrade per lunghi ani ricostituendone l'indipendenza e l'autonomia, non vengo dopo aver spogliato del loro patrimonio gli orfani, dei suoi beni la Chiesa, ad impadronirmi con forza straniera della più deliziosa parte d'Italia. Sono un principe vostro che ha sacrificato tutto al suo desiderio di conservare la pace, la concordia, la prosperità tra' suoi sudditi.

Il mondo intero l'ha veduto; per non versare il sangue ho preferito rischiare la mia corona. I traditori pagati dal nemico straniero sedevano accanto a' fedeli nel mio consiglio; ma nella sincerità del mio cuore, io non poteva credere al tradimento. Mi costava troppo punire; mi doleva aprire, dopo tante sventure, un'era di persecuzioni; e così la slealtà di pochi e la clemenza mia hanno aiutato l'invasione piemontese pria per mezzo degli avventurieri rivoluzionari e poi della sua armata regolare paralizzando la fedeltà de' miei popoli, il valore de' miei soldati. In mano a cospirazioni continue non ho fatto versare una goccia di sangue, ed hanno accusato la mia condotta di debolezza. Se l'amore il più tenero pe' miei sudditi, se la fiducia naturale della gioventù nella onestà degli altri, se l'orrore istintivo al sangue meritano questo nome, sono stato certamente debole. Nel momento in che era sicura la rovina de' miei nemici, ho fermato il braccio de' miei generali per non consumare la distruzione di Palermo, ho preferito lasciare Napoli, la mia propria casa, la mia diletta capitale per no esporla agli orrori di un bombardamento, come quelli che hanno avuto luogo più tardi in Capua ed in Ancona. Ho creduto nella buona fede che il Re del Piemonte che si diceva mio fratello, mio amico, che mi protestava disapprovare la invasione di Garibaldi, che negoziava con il mio governo una alleanza intima pe' veri interessi d'Italia, non avrebbe rotto tutt'i  patti e violate tutte le leggi, per invadere i miei Stati in piena pace, senza motivi né dichiarazioni   di guerra. Se questi erano i miei torti, preferisco le mie sventure a' trionfi de' miei avversari.

Io aveva dato un'amnistia, aveva aperto le porte della patria a tutti gli esuli, conceduto a' miei popoli una costituzione. Non ho mancato certo alle mie promesse. Mi preparava a garantire alla Sicilia istituzioni libere che consacrassero con un parlamento separato la sua indipendenza amministrativa ed economica rimuovendo ad un tratto ogni motivo di sfiducia e di scontento. Aveva chiamato a' miei consigli quegli uomini che mi sembrarono più accettabili all'opinione pubblica in quelle circostanze, ed in quanto me lo ha permesso l'incessante aggressione di che sono stato vittima, ho lavorato con ardore alle riforme, a' progressi, ai vantaggi del comune paese. 

Non sono i miei sudditi che mi hanno combattuto contro; non mi strapparono il Regno le discordie intestine, ma mi vince l'ingiustificabile invasione d'un nemico straniero. Le Due Sicilie, salvo Gaeta e Messina, questi ultimi asili della loro indipendenza, si trovano nelle mani del Piemonte. Che ha dato questa rivoluzione ai miei popoli di Napoli e di Sicilia? Vedete lo stato che presenta il paese. Le finanze un tempo così floride sono completamente rovinate; l'amministrazione è un caos; la sicurezza individuale non esiste. Le prigioni sono piene di sospetti; in vece della libertà, lo stato di assedio regna nelle province, ed un generale straniero pubblica la legge marziale, decreta la fucilazione istantanea per tutti quelli dei miei sudditi che non s'inchinano alla bandiera di Sardegna. L'assassinio è ricompensato, il regicidio merita un'apoteosi; il rispetto al culto santo de' nostri Padri è chiamato fanatismo; i promotori della guerra civile, i traditori del proprio paese ricevono pensioni che paga il pacifico contribuente. L'anarchia è da per tutto. Avventurieri stranieri han rimestato tutto, per saziare l'avidità o le passioni dei loro compagni. 

Uomini che non hanno mai veduta questa parte d'Italia, o che hanno dimenticato in lunga assenza i suoi bisogni, formano il vostro governo. In vece delle libere istituzioni che io vi aveva date e che era mio sviluppare, avete avuta la più sfrenata dittatura, e la legge marziale sostituisce adesso la costituzione. Sparisce sotto i colpi de' vostri dominatori l'antica monarchia di Ruggiero e di Carlo III, e le due  Sicilie sono state dichiarate province di un Regno lontano. Napoli e Palermo saranno governati da prefetti venuti da Torino.
Ci è un rimedio per tutti questi mali, per le calamità più grandi che prevedo. La concordia, la risoluzione, la fede nell'avvenire. Unitevi intorno al trono de' vostri padri. Che l'obblio copra per sempre gli errori di tutti; che il passato non sia mai pretesto di vendetta, ma pel futuro lezione salutare. Io ho fiducia nella giustizia della Provvidenza, e qualunque sia la mia sorte, resterò fedele a' miei popoli ed alle istituzioni che ho loro accordate. Indipendenza amministrativa ed economica tra le due Sicilie con parlamenti separati, amnistia completa per tutt'i fatti politici: questo è il mio programma. Fuori di queste basi non ci sarà pel paese, che dispotismo o anarchia. Difensore della sua indipendenza, io resto e combatto qui per non abbandonare così santo e caro deposito. Se l'autorità ritorna nelle mie mani sarà per tutelare tutt' i diritti, rispettare tutte le proprietà, garantire le persone e le sostanze de' miei sudditi contra ogni sorte di oppressione e di saccheggio. E se la Provvidenza nei suoi lati disegni permette che cada sotto i colpi del nemico straniero l'ultimo baluardo della monarchia, mi ritirerò con la coscienza sana, con incrollabile fede, con immutabile risoluzione; ed aspettando l'ora inevitabile della giustizia, farò i più fervidi voti per la prosperità della mia patria, per la felicità di questi popoli che formano la più grande e più diletta parte della mia famiglia.
Preghiamo il sommo Iddio e la invitta Immacolata protettrice speciale del nostro paese, onde si degni di sostenere la nostra causa.
Gaeta 8 dicembre 1860                                                      Firmato - FRANCESCO

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