In questa pagina riportiamo il proclama reale che il
re Francesco II di Borbone rivolse ai suoi sudditi dalla fortezza di
Gaeta dove si era rifugiato,
a seguito della "Spedizione dei Mille", nell'estremo tentativo di
difendere la sua corona di Re delle Due Sicilie.
Francesco II nella fortezza di Gaeta |
Proclama Reale
POPOLI DELLE DUE SICILIE
Da questa piazza dove difendo più che la mia
corona l'indipendenza della Patria comune, si alza la voce del vostro
Sovrano per consolarvi delle vostre miserie, per promettervi tempi più
felici. Traditi ugualmente, ugualmente spogliati, risorgeremo allo
stesso tempo dalle nostre sventure; ché mai ha durato lungamente
l'opera della iniquità, né sono eterne le usurpazioni. Ho lasciato perdersi nel disprezzo le
calunnie; ho guardato con isdegno i tradimenti, mentre che tradimenti e
calunnie attaccavano soltanto la mia persona; ho combattuto non per
me, ma per l'onore del nome che portiamo. Ma quando veggo i sudditi
miei che amo tanto in preda a tutti i mali della dominazione straniera,
quando li vedo come popoli conquistati portando il loro sangue e le
loro sostanze ad altri paesi, calpestati dal piede di straniero
padrone, il mio cuore napolitano batte indegnato nel mio petto,
consolato soltanto dalla lealtà di questa prode armata, dallo
spettacolo delle nobili proteste che da tutti gli angoli del Regno si
alzano contro il trionfo della violenza e dell'astuzia.
Io sono
napolitano; nato tra voi, non ho respirato altra aria, non ho veduto
altri paesi, non conosco altro che il mio suolo natio. Tutte le mie
affezioni sono dentro al Regno: i vostri costumi sono i miei costumi;
la vostra lingua è la mia lingua; le vostre ambizioni mie ambizioni.
Erede di un'antica dinastia che ha regnato in queste belle contrade per
lunghi ani ricostituendone l'indipendenza e l'autonomia, non vengo dopo
aver spogliato del loro patrimonio gli orfani, dei suoi beni la
Chiesa, ad impadronirmi con forza straniera della più deliziosa parte
d'Italia. Sono un principe vostro che ha sacrificato tutto al suo
desiderio di conservare la pace, la concordia, la prosperità tra' suoi
sudditi.
Il mondo intero l'ha veduto; per non versare il sangue ho
preferito rischiare la mia corona. I traditori pagati dal nemico
straniero sedevano accanto a' fedeli nel mio consiglio; ma nella
sincerità del mio cuore, io non poteva credere al tradimento. Mi
costava troppo punire; mi doleva aprire, dopo tante sventure, un'era di
persecuzioni; e così la slealtà di pochi e la clemenza mia hanno
aiutato l'invasione piemontese pria per mezzo degli avventurieri
rivoluzionari e poi della sua armata regolare paralizzando la fedeltà
de' miei popoli, il valore de' miei soldati. In mano a cospirazioni
continue non ho fatto versare una goccia di sangue, ed hanno accusato la
mia condotta di debolezza. Se l'amore il più tenero pe' miei sudditi,
se la fiducia naturale della gioventù nella onestà degli altri, se
l'orrore istintivo al sangue meritano questo nome, sono stato
certamente debole. Nel momento in che era sicura la rovina de' miei
nemici, ho fermato il braccio de' miei generali per non consumare la
distruzione di Palermo, ho preferito lasciare Napoli, la mia propria
casa, la mia diletta capitale per no esporla agli orrori di un
bombardamento, come quelli che hanno avuto luogo più tardi in Capua ed
in Ancona. Ho creduto nella buona fede che il Re del Piemonte che si
diceva mio fratello, mio amico, che mi protestava disapprovare la
invasione di Garibaldi,
che negoziava con il mio governo una alleanza intima pe' veri interessi
d'Italia, non avrebbe rotto tutt'i patti e violate tutte le leggi,
per invadere i miei Stati in piena pace, senza motivi né dichiarazioni
di guerra. Se questi erano i miei torti, preferisco le mie sventure
a' trionfi de' miei avversari.
Io aveva dato un'amnistia, aveva aperto le porte
della patria a tutti gli esuli, conceduto a' miei popoli una
costituzione. Non ho mancato certo alle mie promesse. Mi preparava a
garantire alla Sicilia istituzioni libere che consacrassero con un
parlamento separato la sua indipendenza amministrativa ed economica
rimuovendo ad un tratto ogni motivo di sfiducia e di scontento. Aveva
chiamato a' miei consigli quegli uomini che mi sembrarono più
accettabili all'opinione pubblica in quelle circostanze, ed in quanto me
lo ha permesso l'incessante aggressione di che sono stato vittima, ho
lavorato con ardore alle riforme, a' progressi, ai vantaggi del comune
paese.
Non sono i miei sudditi che mi hanno combattuto
contro; non mi strapparono il Regno le discordie intestine, ma mi vince
l'ingiustificabile invasione d'un nemico straniero. Le Due Sicilie,
salvo Gaeta e Messina, questi ultimi asili della loro indipendenza, si
trovano nelle mani del Piemonte. Che ha dato questa rivoluzione ai miei
popoli di Napoli e di Sicilia? Vedete lo stato che presenta il paese.
Le finanze un tempo così floride sono completamente rovinate;
l'amministrazione è un caos; la sicurezza individuale non esiste. Le
prigioni sono piene di sospetti; in vece della libertà, lo stato di
assedio regna nelle province, ed un generale straniero pubblica la
legge marziale, decreta la fucilazione istantanea per tutti quelli dei
miei sudditi che non s'inchinano alla bandiera di Sardegna.
L'assassinio è ricompensato, il regicidio merita un'apoteosi; il
rispetto al culto santo de' nostri Padri è chiamato fanatismo; i
promotori della guerra civile, i traditori del proprio paese ricevono
pensioni che paga il pacifico contribuente. L'anarchia è da per tutto.
Avventurieri stranieri han rimestato tutto, per saziare l'avidità o le
passioni dei loro compagni.
Uomini che non hanno mai veduta questa parte
d'Italia, o che hanno dimenticato in lunga assenza i suoi bisogni,
formano il vostro governo. In vece delle libere istituzioni che io vi
aveva date e che era mio sviluppare, avete avuta la più sfrenata
dittatura, e la legge marziale sostituisce adesso la costituzione.
Sparisce sotto i colpi de' vostri dominatori l'antica monarchia di
Ruggiero e di Carlo III, e le due Sicilie sono state dichiarate
province di un Regno lontano. Napoli e Palermo saranno governati da
prefetti venuti da Torino.
Ci è un rimedio per tutti questi mali, per le
calamità più grandi che prevedo. La concordia, la risoluzione, la fede
nell'avvenire. Unitevi intorno al trono de' vostri padri. Che l'obblio
copra per sempre gli errori di tutti; che il passato non sia mai
pretesto di vendetta, ma pel futuro lezione salutare. Io ho fiducia
nella giustizia della Provvidenza, e qualunque sia la mia sorte,
resterò fedele a' miei popoli ed alle istituzioni che ho loro
accordate. Indipendenza amministrativa ed economica tra le due Sicilie
con parlamenti separati, amnistia completa per tutt'i fatti politici:
questo è il mio programma. Fuori di queste basi non ci sarà pel paese,
che dispotismo o anarchia. Difensore della sua indipendenza, io
resto e combatto qui per non abbandonare così santo e caro deposito. Se
l'autorità ritorna nelle mie mani sarà per tutelare tutt' i diritti,
rispettare tutte le proprietà, garantire le persone e le sostanze de'
miei sudditi contra ogni sorte di oppressione e di saccheggio. E se la
Provvidenza nei suoi lati disegni permette che cada sotto i colpi del
nemico straniero l'ultimo baluardo della monarchia, mi ritirerò con la
coscienza sana, con incrollabile fede, con immutabile risoluzione; ed
aspettando l'ora inevitabile della giustizia, farò i più fervidi voti
per la prosperità della mia patria, per la felicità di questi popoli
che formano la più grande e più diletta parte della mia famiglia.
Preghiamo il sommo Iddio e la invitta Immacolata protettrice
speciale del nostro paese, onde si degni di sostenere la nostra causa. Gaeta 8 dicembre 1860 Firmato - FRANCESCO
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