BASTA CON LE MENZOGNE STORICHE ! E' ora
di dire la verità su tutto quello che fu l'unità d'Italia. Il
glorioso e ricco Regno delle due Sicilie fu distrutto dall'orda
barbarica piemontese, soldataglia allobrogica che eseguiva gli ordini
di due criminali: Camillo Benso e Vittorio Emanuele II di Savoia.
Tutto il Regno delle due Sicilie fu messo a ferro e a fuoco dai banditi savoiardi, che nella loro crudeltà e nella loro ferocia
furono peggio degli Unni di Attila.
Bandiera del Regno delle due Sicilie sul Gran Sasso |
Nel 1863 veniva promulgata la legge
Pica, dal nome del deputato abruzzese che la formulò per trasformare
le regioni meridionali in un immenso campo di combattimento, o meglio
ancora in un enorme lager dentro il quale i soldati del re sabaudo, i
“piemontesi”, con la scusa della lotta al brigantaggio uccisero,
stuprarono, squartarono, sgozzarono, misero a ferro e fuoco interi
paesi causando migliaia e migliaia di morti innocenti. Ci vollero
dieci anni per piegare definitivamente tutte le sacche di resistenza
dei partigiani lealisti al re Borbone sulle montagne abruzzesi,
lucane, campane, pugliesi, calabresi, e siciliane. Basterebbe questo
per capire l’enorme montagna di menzogne che ha accompagnato per
151 anni la storia del risorgimento italiano.
Altro che “fratelli
d’Italia”…
lapide nell'ex Lager di Fenestrelle, Piemonte |
Poi ci sono testimonianze,
involontarie, che veramente sono al di sopra di ogni sospetto, come
ad esempio quelle tratte dal sito dell’Arma dei Carabinieri,
“fedelissima” per definizione al re savoia.
Ecco cosa si legge nel sito ufficiale dell’Arma:
“La legge Pica permise la repressione senza limiti di qualunque resistenza: si trattava, in pratica, dell’applicazione dello stato d’assedio interno. Senza bisogno di un processo si potevano mettere per un anno agli arresti domiciliari i vagabondi, le persone senza occupazione fissa, i sospetti fiancheggiatori di camorristi e briganti. Nelle province dichiarate infestate da briganti ogni banda armata di più di tre persone, complici inclusi, poteva essere giudicata da una corte marziale. Naturalmente alla sospensione dei diritti costituzionali (il concetto di diritti umani di fatto ancora non esisteva) si accompagnarono misure come la punizione collettiva per i delitti dei singoli e le rappresaglie contro i villaggi“.
(http://www.carabinieri.it/Internet/Arma/Ieri/Storia/Vista+da/
Fascicolo+6/04_fascicolo+6.htm)
Ecco cosa si legge nel sito ufficiale dell’Arma:
“La legge Pica permise la repressione senza limiti di qualunque resistenza: si trattava, in pratica, dell’applicazione dello stato d’assedio interno. Senza bisogno di un processo si potevano mettere per un anno agli arresti domiciliari i vagabondi, le persone senza occupazione fissa, i sospetti fiancheggiatori di camorristi e briganti. Nelle province dichiarate infestate da briganti ogni banda armata di più di tre persone, complici inclusi, poteva essere giudicata da una corte marziale. Naturalmente alla sospensione dei diritti costituzionali (il concetto di diritti umani di fatto ancora non esisteva) si accompagnarono misure come la punizione collettiva per i delitti dei singoli e le rappresaglie contro i villaggi“.
(http://www.carabinieri.it/Internet/Arma/Ieri/Storia/Vista+da/
Fascicolo+6/04_fascicolo+6.htm)
Nel 1864, Vincenzo Padula scriveva:
«Il brigantaggio è un gran male, ma male più
grande è la sua repressione. Il tempo che si dà la caccia ai
briganti è una vera pasqua per gli ufficiali, civili e militari; e
l’immoralità dei mezzi, onde quella caccia deve governarsi per
necessità, ha corrotto e imbruttito. Si arrestano le famiglie dei
briganti, ed i più lontani congiunti; e le madri, le spose, le
sorelle e le figlie loro, servono a saziare la libidine, ora di chi
comanda, ora di chi esegue quegli arresti».
La legge Pica, fra fucilazioni, morti in
combattimento ed arresti, eliminò da paesi e campagne circa 14.000
briganti o presunti tali: per effetto della legge 1409/1863 e del
complesso normativo ad essa connesso, fino a tutto il dicembre 1865,
si ebbero 12.000 tra arrestati e deportati, mentre furono 2.218 i
condannati. Nel solo 1865, furono 55 le condanne a morte, 83 ai
lavori forzati a vita, 576 quelle ai lavori forzati a tempo e 306
quelle alla reclusione ordinaria. Nonostante tale rigore, la legge
Pica non riuscì a portare i risultati che il governo si era
prefissi: l’attività insurrezionale e il brigantaggio, infatti,
perdurarono negli anni successivi al 1865, protraendosi fino al 1870.
bersagliere sabaudo con Brigante |
CONCLUSIONE
“L’agosto 1863 un proclama di Vittorio Emanuele venne affisso in tutte le città, paesi, borgate del Mezzogiorno. Era la legge Pica contro il “brigantaggio”. Praticamente l’autorità militare assumeva il governo delle province meridionali. La repressione diventava, a questo punto, ancora piu’ acre e feroce di quanto non fosse stata fin allora. La legge Pica rimase in vigore fino al 31 dicembre 1865. Fu presentata come “mezzo eccezionale e temporaneo di difesa” e, dall’opposizione parlamentare di sinistra valutata e combattuta come una violazione dell’art. 71 dello Statuto del Regno poiché il cittadino “veniva distolto dai suoi giudici naturali” per essere sottoposto alla giurisdizione dei Tribunali Militari e alle procedure del Codice Penale Militare. La legge passò comunque a larga maggioranza. La ribellione doveva essere stroncata “col ferro e col fuoco!”. Per effetto della legge Pica, a tutto il 31 dicembre 1865, furono 12.000 gli arrestati e deportati, 2.218 i condannati. Nel solo 1865 le condanne a morte furono 55, ai lavori forzati a vita 83, ai lavori forzati per periodi più o meno lunghi 576, alla reclusione ordinaria 306. Le carceri erano piene, fitte, zeppe fino all’inverosimile“. (Ludovico Greco,”Piemontisi, Briganti e Maccaroni” – Guida Editore, Napoli, 1975)
“L’agosto 1863 un proclama di Vittorio Emanuele venne affisso in tutte le città, paesi, borgate del Mezzogiorno. Era la legge Pica contro il “brigantaggio”. Praticamente l’autorità militare assumeva il governo delle province meridionali. La repressione diventava, a questo punto, ancora piu’ acre e feroce di quanto non fosse stata fin allora. La legge Pica rimase in vigore fino al 31 dicembre 1865. Fu presentata come “mezzo eccezionale e temporaneo di difesa” e, dall’opposizione parlamentare di sinistra valutata e combattuta come una violazione dell’art. 71 dello Statuto del Regno poiché il cittadino “veniva distolto dai suoi giudici naturali” per essere sottoposto alla giurisdizione dei Tribunali Militari e alle procedure del Codice Penale Militare. La legge passò comunque a larga maggioranza. La ribellione doveva essere stroncata “col ferro e col fuoco!”. Per effetto della legge Pica, a tutto il 31 dicembre 1865, furono 12.000 gli arrestati e deportati, 2.218 i condannati. Nel solo 1865 le condanne a morte furono 55, ai lavori forzati a vita 83, ai lavori forzati per periodi più o meno lunghi 576, alla reclusione ordinaria 306. Le carceri erano piene, fitte, zeppe fino all’inverosimile“. (Ludovico Greco,”Piemontisi, Briganti e Maccaroni” – Guida Editore, Napoli, 1975)
Ecco uno stralcio dell'intervento in
Parlamento del deputato Angelo Manna, il 25 settembre 1990.
"L'ufficio storico dell'esercito
italiano custodisce e protegge le prove storiche che quella sacra
epopea che fu detta risorgimento non fu, se non una schifosa storia
di rapine e di massacri; e che fu scritta da un'orda barbarica nel
Regno di Napoli, che, oltre la vita e i beni, rubò al Sud e portò
nell'infrancesato Piemonte financo il nome di Italia."
“L'ufficio storico dello Stato italiano è l'armadio nel quale la
setta tricolore conserva e protegge i suoi risorgimentali scheletri
infami; Conserva e protegge le prove che Vittorio Emanuele II di
Savoia, ladro, usurpatore ed assassino e perciò galantuomo, nonché
il protobeccaio Benso Camillo, porco di stato e perciò statista
sommo, ordinarono ai propri sadici macellai di mettere a ferro e a
fuoco l'invaso reame libero ed indipendente e sovrano e di annetterlo
al Piemonte, grazie ad un plebiscito, che fu una truffa schifosa,
combinata da garibaldesi, soldataglia allobrogica e camorra
napoletana. L'ufficio dello stato maggiore dell'esercito italiano è
l'armadio nel quale l'unificazione tiene sotto chiave il proprio
fetore storico. Quello dei massacri bestiali, delle profanazioni e
dei furti sacrileghi, degli incendi dolosi, delle torture, delle
confische abusive, delle collusioni con Tore e Crescienzo,
all'anagrafe Salvatore De Crescenzo e della sua camorra, degli stupri
di fanciulle, delle giustizie sommarie, delle prebende e dei
privilegi dispensati a traditori, assassini e prostitute, come la
Sangiovannara. Quali studiosi hanno potuto aprire questi armadi
infami signor sottosegretario? I crociati postumi, gli scribacchini
diventati cattedratici per aver saputo rinnegare la propria origine,
e per aver saputo rinunciare alla ricerca della verità storica. Per
avere dimostrato di sapere essere i sacerdoti del sacro fuoco del
mendacio.”
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