La svastica a Sibari, antica metropoli della "Magna Grecia". |
François Lenormant, 1881
«…Immaginatevi un immenso anfiteatro di montagne, profondo più di quaranta chilometri e aperto sul mare per una lunghezza di trenta. A nord il Monte Pollino, scosceso e spoglio, si alza, quasi senza contrafforti, per dirupi selvaggi e desolati fino al picco di vetta, alto 2200 metri, dove la neve non si scioglie fino a metà giugno e dove spesso, già ad ottobre, ricomincia a cadere…»
François Lenormant, 1881
Scimno di Chio, II sec. a.C.
«Avendo nei tempi passati i Greci fondato Sibari in Italia, avvenne che per la singolare fertilità del suolo in breve la città prosperò e divenne ricca, poiché essendo stata collocata fra due fiumi, il Crati e il Sybaris, da cui ebbe il nome, e coltivando i suoi abitanti una campagna vasta e ricca di piante d’ogni genere, presto poterono accumulare molta ricchezza, e concessa a molti la cittadinanza, salirono d’importanza a tal grado da superare di molto tutte le altre città d’Italia. E infatti vi crebbe così tanto la popolazione, da contenere essa sola trecentomila uomini…»
Diodoro Siculo, I sec. a.C.
«Dicono che nella Sibaritide la natura della terra fosse tale per cui produceva il centuplo della semenza»
Marco Terenzio Varrone, I sec. a.C.
«Sibari trae vantaggio da tutto. Concede esenzioni d’imposte, punti franchi, agevolazioni doganali. Si converte in una fiera permanente fra l’oriente e l’occidente mediterraneo. Esporta vino, pelli, olio, cera, legna, miele, pece del suo territorio. Ottime strade percorrono in ogni senso il paese. Condutture trasportano dalla campagna in città e fino al punto d’imbarco, l’olio e il vino. Provetti artigiani, protetti da leggi speciali, alimentano una fiorente industria. In un secolo di vita eroica il “molle sibarita” ha saputo creare qualcosa di superiore ad ogni altra della sua epoca. Quattro nazioni e venticinque città indigene riconoscono la sua autorità. Ospita tecentomila abitanti liberi, oltre gli schiavi, mentre la cinta delle sue mura si estende per nove chilometri. Nelle vie e nelle piazze della città, divenuta la maggiore dell’occidente, volteggiano 5000 cavalieri in corazza geminata e manto di porpora…La stessa Atene, al massimo del suo splendore, non riuscirà che ad allinearne un quarto di questa cifra»
Kazimiera Szimanska Alberti, 1949
Romualdo Cannonero, 1876
«Se non fossero andati perduti i libri di Timeo, di Filarco edi altri antichi, di cui Ateneo ci serbò qualche passo intorno ai costumi dei Sibariti, noi avremmo a stupire del sontuoso banchettare di questo popolo, e dei raffinamenti ch’egli recò all’arte di cucinare e insapor le vivande. [Ateneo] riferisce che a Sibari gli apparecchiatori delle mense, i quali trovavano nuove fogge di splendidezza all’apparato dei conviti, e i cuochi che sapevano condire i cibi di squisitezze nuove, erano premiati di corone d’oro, celebrati nelle sacre feste e nei pubblici giochi con quegli onori, che presso gli altri popoli solevansi tributare agli eroi ed ai salvatori della patria. Era legge che se un cuoco di sua privata industria avesse inventato una nuova, appetitosa vivanda, nessuno, salvo che l’inventore, ne potesse far uso prima dell’anno seguente, perché egli solo traesse guadagno dalla sua invenzione: volendo con tal privilegio incoraggiare gli altri cuochi al perfezionamento dell’arte (…)»
Romualdo Cannonero, 1876
Mentre a Sibari i cuochi popolavano le case dei ricchi, ed erano considerati fra i cittadini più benemeriti e degni d’onore, i Romani non avevano ancora fornai e le donne loro facevano il pane in famiglia (…). A Sibari le ricche famiglie salariavano i cuochi a legioni. Smindiride allorché si presentò alla corte di Clistene, era seguito da mille fra cuochi, cacciatori e pescatori (…). I cuochi di Sibari erano ingegnosi a manipolare quelle salse che sono più atte a stuzzicare i palati sazi di ogni buon cibo. Il garo è una loro invenzione. Gli antichi lo riducevano a guazzetto, stemperandolo con l’aceto, o col vino, o con l’olio. Esso mantenevasi in altissimo credito ancora al tempo della maggiore ghiottoneria romana, ed era una delle più gustate salse alla mensa dell’imperatore Eliogabalo (…) . Seneca chiama sanie questa sibaritica salsa, e Marziale la chiama fece.»
Romualdo Cannonero, 1876
«Favoriti dal benigno cielo di Sibari gli oliveti e le vigne recavano frutti in sì meravigliosa abbondanza, che divennero le due principali sorgenti della ricchezza de’Sibariti (…). I Sibariti che traevano dai loro oliveti una immensa quantità di olii pregiatissimi, possedevano dunque un tesoro che rinnovavasi tutti gli anni (…). Un’altra inesauribile fonte di lucro pei Sibariti era il commercio del vino, come appare dalla foglia di vite ch’essi ponevano nelle loro monete. E non meno che gli olii erano celebrati i vini di Sibari (…). Per agevolarne lo spaccio i Sibariti avevano scavato delle cantine presso il lido del mare, alle quali per vie sotterranee trasportavanli dalle campagne, e li mandavano in paesi meno che Sibari favoriti dal cielo…»
Romualdo Cannonero, 1876
«L’esuberanza dei doni della terra li aveva spinti al commercio che essi estesero con la navigazione dall’estremo oriente all’estremo occidente del Mediterraneo, potendo la poca distanza che li separava dal lido essere facilmente superata per l’acqua del Crati…»
Romualdo Cannonero, 1876
«Fecondissime erano non meno le valli poste fra i monti sovrapposti al mare…»
Nicola Leoni, 1862
«Gli antichi attribuirono prodigiose virtù ai due fiumi Sibarys e Crati, e i canti dei poeti ne ornarono fantasticamente le rive. Sulle sponde del Sybaris, Cigno trasformato da Marte in uccello del medesimo nome si era sposato ad una gru…»
Romualdo Cannonero, 1876
«Le greggi che bevevano al Crati divenivano bianche; nere quelle che bevevano al Sybaris. Il primo faceva la pelle candida e morbida, e i capelli aurei e distesi a chi si lavava nelle sue acque; al contrario il secondo la pelle ruvida e bruna e i capelli neri e ricciuti…»
Romualdo Cannonero, 1876
«Il Crati rendeva feconde le pecore, e il Sibarys gli uomini generativi…»
Romualdo Cannonero, 1876
«Presso la foce dell’uno era venuta a rifugiarsi Anna sorella di Didone; sulla riva dell’altro conservavansi in un piccolo tempio l’arco e le frecce ch’Ercole aveva consegnato a Filottete…»
Romualdo Cannonero, 1876
«[A Sibari] il pranzo era rallegrato da suoni, da canti e da balli; se non che in luogo di leggiadre danzatrici, introducevansi ne’ banchetti cavalli ammaestrati a ballare al suon delle tibie. A certe sinfonie quei docili e intelligenti quadrupedi rizzavansi sulle zampe di dietro, e colle zampe dinanzi gesticolando a guisa dei pantomimi, e muovendo le groppe a cadenza di musica, ballavano a sollazzo de’ convitati…»
Romualdo Cannonero, 1876
«Si vuole che nella spiaggia del mare, posta fra i due fiumi Crati e Sybaris, molte navi greche che tornavano da Troia furono bruciate, mentre i Greci per ristorarsi un poco dal lungo viaggio eran discesi nel lido. Essi portavano prigioniere alcune donne troiane, le quali afflitte dalla triste sorte della loro patria e dalla loro presente sventura, e stanche del lungo cammino, deliberarono d’ivi morire meglio che rimettersi in mare, tanto più che arrivando in Grecia, non speravano miglior ventura che quella di essere schiave. Affinché meglio potessero dare effetto alla loro decisione, per consiglio di una di esse chiamata Setea, appena furono sbarcati tutti gli uomini, appiccaron fuoco alle navi e tutte le ridussero in cenere.»
Domenico Marincola Pistoja, 1845
«…Sul lido del mare fra l’uno e l’altro fiume era stata inchiodata in croce la troiana Setea, la quale per liberare sé e le compagne dalla cattività dei nemici, aveva bruciato le navi che le conducevano in Grecia. La Storia non si diletta di favole; tuttavia qui esse giovano a mostrare che la città di Sibari doveva essere venuta in grande rinomanza nel mondo, se tanto furono celebrati i due fiumi fra i quali era posta.»
Romualdo Cannonero, 1876
«Dai Sibariti si dice esser stata pure inventata l’arte di tesser le penne degli uccelli variamente colorate, delle quali essi formavano dei tessuti molto pregevoli. E Aristotele ci racconta che regnando Dionisio il vecchio, un Sibarita di nome Alcistene fece una veste di piume di color di porpora tessute meravigliosamente, la quale era pure nobilmente fregiata di pietre preziose. Questa, portata a vendere nella fiera che si faceva ogni anno a Crotone nel tempio di Giunone Lacinia, in cui approdava gente da tutte le parti d’Italia e da altri regni ancora, destò moltissima meraviglia in chiunque la vedeva; e, comperata da alcuni mercanti cartaginesi per centoventi talenti, fu da quelli portata nella lor patria per onorarne la statua di Giunone. Ma non questi solo erano i pregi di questa meravigliosa veste; perché, al dire dello stesso scrittore, la sua larghezza era di quindici cubiti [6.60 metri], il colore di porpora (…) ed aveva il fondo tutto sparso di molte e varie generazioni di piccoli animali. Nella parte superiore si vedeva effigiata la città di Susa, e nel lembo la Persia; nel mezzo poi vi splendevano le immagini di Giove, Giunone, Temi, Pallade, Apollo e Venere; e da un lato era il ritratto dello stesso artefice Alcistene, e la città di Sibari sua patria dall’altro…»
Domenico Marincola Pistoja, 1845
«All’avvedutezza dei suoi primi fondatori dovette Sibari l’esser piantata vicino al mare in una larga e fertile pianura, irrigata dal Crati navigabile e dal Sybaris…»
Nicola Leoni, 1862
Nicola Leoni, 1862
Nicola Leoni, 1862
«[Dopo la distruzione di Sibari ad opera dei Crotoniati] , gli Ateniesi, essendo arconte Callimaco, ricevuti ed uditi i legati Sibariti, e accolta l’ambasciata seguendo i consigli di Pericle, convennero di aiutarli. Sicché, pubblicato in tutto il Peloponneso che essi, proteggendo quella colonia, avrebbero favorito tutti coloro che vi si fossero voluti trasferire, equipaggiata una flotta di dieci vascelli, molti Ateniesi e numerosa gente raccolta dagli altri stati della Grecia si imbarcarono per venire in Italia, sotto il comando dei due capitani Lampone e Xenocrito e guidati dall’Ateniese Ierone. Però prima di partire, consultato l’oracolo di Apollo, fu risposto loro che qualora avessero voluto prosperare, dovevano riedificare la città non nell’antico sito, ma in quel luogo ove trovando mediocre quantità di acqua avrebbero avuto grande abbondanza di pane…»
Domenico Marincola Pistoja, 1845»
«…Dopo un prospero navigare, la spedizione giunse felicemente alla spiaggia del mare sibaritico…»
Domenico Marincola Pistoja, 1845»
«…La prima cosa però che fecero fu di trovare il luogo designato loro dall’Oracolo per la riedificazione della nuova città…»
Domenico Marincola Pistoja, 1845
«…Fu rinvenuta da costoro non lontano da Sibari una fontana, appellata Turio, che versava le acque da un canale di bronzo dai vicini abitanti chiamato Medimno; e giudicando esser quello il luogo dall’Oracolo indicato ad essi per veder fertilissime quelle terre; riunitisi ai pochi Sibariti rimasti, e tenute a bada le ostilità dei Crotoniati contro di loro, fabbricarono in quel luogo la città novella…»
Domenico Marincola Pistoja, 1845
«Nel buio ripassai dalla stazione che porta il nome di Sibari; e via via lungo il mare, da cui spesso mi raggiungeva il suono delle onde…»
George Gissing, 1901
«Che la Bellezza, odimi bene, Fedro, la Bellezza soltanto è divina e visibile a un tempo, ed è per questo che essa è la via al sensibile, è, piccolo Fedro, la via che mena l’artista allo spirito.»
Thomas Mann, 1912
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