domenica 23 febbraio 2020

la lettera che alcuni cattolici scrissero a Benedetto XVI, riguardante il pericolo di Assisi di pregare insieme ai fedeli di tutte le altre religioni - 11 gennaio 2011

27 ottobre 1986 il papa polacco Karol Wojtyla prega insieme a fedeli di altre religioni
Lettera scritta al papa Benedetto XVI, martedì 11 gennaio 2011, da alcuni cattolici che avvertivano il pericolo dello spirito di Assisi, voluto da Karol Wojtyla, di pregare con fedeli di altre religioni.

Santo Padre Benedetto XVI,
siamo alcuni cattolici gratissimi dell’opera da Voi compiuta come pastore della Chiesa universale in questi anni; riconoscenti per la vostra grande valutazione della ragione umana, per la concessione del "Motu proprio Summorum pontificum", per il vostro proficuo rapporto con gli Anglicani che ritornano all’unità, e per molto altro ancora. Abbiamo preso il coraggio di scriverVi dopo aver sentito, proprio nei giorni del massacro dei cristiani copti in Egitto, dell’intenzione di convocare ad Assisi, per il mese di ottobre, un grande raduno interreligioso, venticinque anni dopo "Assisi 1986".

Tutti noi ricordiamo quell’evento di tanti anni fa.

Un evento anche mediatico come pochi, che, a prescindere dalle intenzioni e dalle dichiarazioni di chi lo convocò, ebbe un contraccolpo innegabile, rilanciando, proprio nel mondo cattolico, l’indifferentismo ed il relativismo religioso.

Proprio da quell’avvenimento prese vigore presso il popolo cristiano l’idea che l’insegnamento secolare della Chiesa, "una, santa cattolica e apostolica", sull’unicità del Salvatore, fosse in qualche modo da archiviare.
Joseph Ratzinger, Benedetto XVI
Tutti noi ricordiamo rappresentanti di tutte le religioni in un tempio cattolico, la Chiesa di santa Maria degli Angeli, allineati con in mano un ramoscello di ulivo: quasi a significare che la pace non passa da Cristo ma, indistintamente, da tutti i fondatori di un credo, quale che esso sia (Maometto, Budda, Confucio, Kalì, Cristo…)

Ricordiamo la preghiera dei mussulmani in Assisi, cioè nella città di un Santo che aveva fatto della conversione degli islamici uno dei suoi obiettivi.

Rammentiamo la preghiera degli animisti, la loro invocazione degli spiriti elementari, e quella di altri credenti o di rappresentanti di religioni atee come il giainismo.

Quel pregare "insieme", qualsiasi fosse il fine, volenti o nolenti ebbe l’effetto di far credere a molti che tutti pregassero "lo stesso Dio", solo con nomi diversi.

Invece le Sacre Scritture parlano chiaro: "Non avrai altro Dio all’infuori di me" (I comandamento); "Io sono la Via, la Verità e la Vita; nessuno viene al Padre se non per mezzo di me" " (Gv, 14, 6).

Chi scrive non nega certamente il dialogo, con ogni persona, di qualsiasi religione essa sia.

Viviamo nel mondo, e tutti i giorni parliamo, discutiamo, amiamo, anche chi non è cristiano, perché ateo, incerto, o di altre religioni. Ma questo non ci impedisce di credere che Dio stesso sia venuto sulla terra, e si sia fatto uccidere, per insegnarci, appunto, la Via e la Verità, e non solo una delle tante e possibili vie e verità. Cristo è per noi cristiani il Salvatore: l’Unico Salvatore del mondo.

Ricordiamo dunque con sgomento, tornando a quell’avvenimento di venticinque anni fa, i polli sgozzati sull’altare di santa Chiara secondo riti tribali e la teca con una statua di Budda posta sopra l’altare della chiesa di san Pietro, sopra le reliquie del martire Vittorino, ammazzato, 400 anni dopo Cristo, per testimoniare la sua fede.

Ricordiamo i sacerdoti cattolici che si sottoposero a riti iniziatici di altre religioni: una scena raccapricciante, dal momento che, se è "sciocco" battezzare nella fede cattolica una persona adulta che non vi crede, altrettanto assurdo è il fatto che un sacerdote cattolico si sottoponga a un rito cui non riconosce alcuna validità né utilità. Così facendo si finisce infatti solo per far passare una idea: che i riti, tutti, non siano altro che vuoti gesti umani. Che tutte le concezioni del divino si equivalgano. Che tutte le morali, che da ogni religione promanano, siano intercambiabili.

Ecco, quello "spirito di Assisi", su cui poi i media e i settori della Chiesa più relativisti ricamarono a lungo, gettò confusione. Ci sembrò estraneo al Vangelo e alla Chiesa di Cristo, che mai, in duemila anni, aveva scelto di fare altrettanto. Avremmo voluto riscrivere, allora, queste ironiche osservazioni di un giornalista francese: "In presenza di tante religioni, si crederà più facilmente o che esse sono tutte valide o che sono tutte indifferenti; vedendo così tanti dei, ci si chiederà se tutti non si equivalgono o se ce n’è uno solo vero. Il parigino beffardo (scettico ed ateo, ndr) imiterà quel collezionista scettico, il cui amico aveva appena fatto cadere un idolo da una mensa: ‘Ah! Disgraziato, poteva essere il Dio vero’".

Trovammo conforto, allora, alle nostre perplessità, in tantissime dichiarazioni di pontefici che avevano sempre condannato un siffatto "dialogo".

Un Congresso di tutte le religioni era stato già organizzato, infatti, a Chicago, nel 1893, e a Parigi, nel 1900. Ma papa Leone XIII era intervenuto a vietare qualsiasi partecipazione cattolica.

Lo stesso atteggiamento tenne Pio XI, il papa che condannò l’ateismo comunista ma che deplorò nel contempo il tentativo di unire gli uomini in nome di un vago e indistinto senso religioso, senza Cristo.

Scriveva quel papa nella sua "Mortalium Animos" (Epifania del 1928), proprio a riguardo dei congressi ecumenici: "Persuasi che rarissimamente si trovano uomini privi di qualsiasi sentimento religioso, sembrano trarne motivo a sperare che i popoli, per quanto dissenzienti gli uni dagli altri in materia di religione, pure siano per convenire senza difficoltà nella professione di alcune dottrine, come su un comune fondamento di vita spirituale. Perciò sono soliti indire congressi, riunioni, conferenze, con largo intervento di pubblico, ai quali sono invitati promiscuamente tutti a discutere: infedeli di ogni gradazione, cristiani, e persino coloro che apostatarono da Cristo o che con ostinata pertinacia negano la divinità della sua Persona e della sua missione. Non possono certo ottenere l’approvazione dei cattolici tali tentativi fondati sulla falsa teoria che suppone buone e lodevoli tutte le religioni, in quanto tutte, sebbene in maniera diversa, manifestano e significano egualmente quel sentimento a tutti congenito per il quale ci sentiamo portati a Dio e all’ossequente riconoscimento del suo dominio. Orbene, i seguaci di siffatta teoria, non soltanto sono nell’inganno e nell’errore, ma ripudiano la vera religione depravandone il concetto e svoltano passo passo verso il naturalismo e l’ateismo…".

Col senno di poi, possiamo dire che Pio XI aveva ragione, anche solo sul piano della mera opportunità: quale è stato, infatti, l’effetto di "Assisi 1986", nonostante le giuste dichiarazioni di papa Giovanni Paolo II, volte ad impedirne una simile interpretazione?

Qual è il messaggio che hanno rilanciato talvolta gli stessi organizzatori, i media, ed anche non pochi ecclesiastici modernisti, ansiosi di ribaltare la Tradizione della Chiesa?

Ciò che è passato, presso moltissimi cristiani, tramite le immagini, che sono sempre le più evocative, e tramite i giornali e le tv, è molto chiaro: il relativismo religioso, che è poi l’equivalente dell’ateismo.

Se tutti pregano "insieme", hanno concluso in tanti, allora le religioni sono tutte "uguali": ma se così è, significa che nessuna di esse è quella vera.

A quell’epoca, Voi, cardinale e prefetto della Congregazione della Fede, insieme al cardinal Giacomo Biffi e a tanti altri, foste tra coloro che espressero forti perplessità. Per questo, negli anni successivi, non partecipaste mai alle repliche proposte ogni anno dalla Comunità di Sant’Egidio.

Infatti, come Voi avete scritto in "Fede, Verità e Tolleranza. Il cristianesimo e le religioni del mondo" (Cantagalli, 2005), proprio criticando l’ecumenismo indifferentista, al cattolico "deve risultare nettamente che non esistono ‘le religioni’ in generale, che non esiste una comune idea di Dio e una comune fede in Lui, che la differenza non tocca unicamente l'ambito della immagini e delle forme concettuali mutevoli, ma le stesse scelte ultime..".

Voi concordate perfettamente, dunque, con Leone XIII e con Pio XI sul pericolo di contribuire, con gesti come quelli di "Assisi 1986", al sincretismo ed all’indifferentismo religioso.

Rischio messo in luce anche dai padri conciliari del Vaticano II, che in Unitatis Redintegratio, a proposito, si badi bene, dell’ecumenismo non con le altre religioni, ma con gli altri "cristiani", invitavano alla prudenza: "Tuttavia la comunicazione nelle cose sacre non la si deve considerare come un mezzo da usarsi indiscriminatamente per il ristabilimento dell’unità dei cristiani…"Voi avete insegnato, in questi anni, non sempre compreso neppure dai cattolici, che il dialogo avviene e può avvenire non tra diverse teologie, ma tra diverse culture; non tra le Fedi, ma tra gli uomini, alla luce di ciò che tutti ci contraddistingue: la ragione umana.

Senza ricreare l’antico Pantheon pagano; senza che l’integrità della Fede venga messa a repentaglio dall’amore per il compromesso teologico; senza che la Rivelazione, che non è nostra, venga rimaneggiata dagli uomini e dai teologi intenti a conciliare l’inconciliabile; senza che Cristo, "segno di contraddizione", debba essere messo sullo stesso piano di Budda o di Confucio, che tra il resto non dissero mai di essere Dio.

Per questo siamo qui a esporVi la nostra preoccupazione.

Temiamo che qualsiasi cosa Voi direte, tv, giornali e tanti cattolici interpreteranno alla luce del passato e dell’indifferentismo imperante; che qualsiasi cosa affermerete, l’evento sarà letto come la continuazione della manipolazione della figura di Francesco, trasformato, dagli ecumenisti odierni, in un irenista e in un sincretista senza fede. Sta già succedendo…

Abbiamo paura che qualsiasi cosa Voi direte, per fare chiarezza, i fedeli semplici, come siamo anche noi, in tutto il mondo non vedranno (e non gli sarà fatto vedere, ad esempio in tv) altro che un fatto: il vicario di Cristo non che parla, discute, dialoga con i rappresentanti di altre religioni, ma che prega con loro. Come se il modo e l’obiettivo della preghiera fossero indifferenti.

E molti, sbagliando, penseranno che anche la Chiesa ormai ha capitolato, ed ha riconosciuto, in sintonia con la mentalità New Age, che pregare Cristo, Allah, Budda o Manitù sia la stessa cosa. Che la poligamia islamica e animista, le caste induiste o lo spiritismo politeista animista… possano stare insieme alla monogamia cristiana, alla legge dell’amore e del perdono ed al Dio Uno e Trino.

Ma come Voi avete sempre scritto, nel libro citato: "Con l’indifferenziazione delle religioni e con l’idea che esse siano tutte sì distinguibili, e tuttavia propriamente uguali, non si avanza". Santo Padre, noi pensiamo che con una nuova "Assisi 1986" nessun cristiano in terre d’Oriente verrà salvato: né nella Cina comunista, né in Corea del nord, né in Pakistan o in Iraq…tanti fedeli, invece, non capiranno più perché proprio in quei paesi c’è ancora oggi chi muore martire per non rinnegare il suo incontro non con una religione, ma con Cristo. Come sono morti gli stessi apostoli.

Di fronte alla persecuzione, ci sono vie politiche, diplomatiche, dialoghi personali e di Stato: si seguano tutte, nel modo migliore possibile. Con la Vostra amorevolezza e il Vostro desiderio di pace per tutti gli uomini.

Ma senza che sia possibile a chi vuole confondere le acque e rilanciare il relativismo religioso, anticamera di ogni relativismo, una opportunità, anche mediatica, così ghiotta come la "riedizione" di "Assisi 1986".

Con devozione filiale

Francesco Agnoli
Lorenzo Bertocchi
Roberto de Mattei
Corrado Gnerre
Alessandro Gnocchi
Camillo Langone
Mario Palmaro



sabato 22 febbraio 2020

Sibari, antica città della "Magna Grecia" - Calabria, culla di Storia e Civiltà

La svastica a Sibari, antica metropoli della "Magna Grecia". 
Cicogne negli scavi di Sibari - Ph. © Stefano Contin
Cicogne negli scavi di Sibari. Nell’antica Grecia questo uccello era sacro alla dea Hera (Giunone) – Ph. © Stefano Contin
«Non credo che esista al mondo nulla di più bello della campagna dove fu Sibari, c’è tutto: il verde ridente dei dintorni di Napoli, la grandiosità dei più maestosi paesaggi alpestri, il sole ed il mare della Grecia»
François Lenormant, 1881


Costa di Sibari - Ph. © Stefano Contin
Costa di Sibari – Ph. © Stefano Contin

«…Immaginatevi un immenso anfiteatro di montagne, profondo più di quaranta chilometri e aperto sul mare per una lunghezza di trenta. A nord il Monte Pollino, scosceso e spoglio, si alza, quasi senza contrafforti, per dirupi selvaggi e desolati fino al picco di vetta, alto 2200 metri, dove la neve non si scioglie fino a metà giugno e dove spesso, già ad ottobre, ricomincia a cadere…»
François Lenormant, 1881

La costa di Sibari e, sullo sfondo, il massiccio del Pollino – Ph. © Stefano Contin
La costa di Sibari e, sullo sfondo, il massiccio del Pollino – Ph. © Stefano Contin
«C’era una grande città, moltissimo celebrata, maestosa, opulenta, bella, denominata Sibari dal fiume Sybaris»
Scimno di Chio, II sec. a.C.

Cicogne negli scavi di Sibari – Ph. © Stefano Contin
Cicogne negli scavi di Sibari – Ph. © Stefano Contin

«Avendo nei tempi passati i Greci fondato Sibari in Italia, avvenne che per la singolare fertilità del suolo in breve la città prosperò e divenne ricca, poiché essendo stata collocata fra due fiumi, il Crati e il Sybaris, da cui ebbe il nome, e coltivando i suoi abitanti una campagna vasta e ricca di piante d’ogni genere, presto poterono accumulare molta ricchezza, e concessa a molti la cittadinanza, salirono d’importanza a tal grado da superare di molto tutte le altre città d’Italia. E infatti vi crebbe così tanto la popolazione, da contenere essa sola trecentomila uomini…»
Diodoro Siculo, I sec. a.C.

Scorcio degli scavi di Sibari – Ph. © Stefano Contin
Scorcio degli scavi di Sibari – Ph. © Stefano Contin

«Dicono che nella Sibaritide la natura della terra fosse tale per cui produceva il centuplo della semenza»
Marco Terenzio Varrone, I sec. a.C.

Risaie nella Piana di Sibari – Ph. © Stefano Contin
Risaie nella Piana di Sibari – Ph. © Stefano Contin

«Sibari trae vantaggio da tutto. Concede esenzioni d’imposte, punti franchi, agevolazioni doganali. Si converte in una fiera permanente fra l’oriente e l’occidente mediterraneo. Esporta vino, pelli, olio, cera, legna, miele, pece del suo territorio. Ottime strade percorrono in ogni senso il paese. Condutture trasportano dalla campagna in città e fino al punto d’imbarco, l’olio e il vino. Provetti artigiani, protetti da leggi speciali, alimentano una fiorente industria. In un secolo di vita eroica il “molle sibarita” ha saputo creare qualcosa di superiore ad ogni altra della sua epoca. Quattro nazioni e venticinque città indigene riconoscono la sua autorità. Ospita tecentomila abitanti liberi, oltre gli schiavi, mentre la cinta delle sue mura si estende per nove chilometri. Nelle vie e nelle piazze della città, divenuta la maggiore dell’occidente, volteggiano 5000 cavalieri in corazza geminata e manto di porpora…La stessa Atene, al massimo del suo splendore, non riuscirà che ad allinearne un quarto di questa cifra»
Kazimiera Szimanska Alberti, 1949

Mosaici con svastiche, simboli solari – Ph. © Stefano Contin
Mosaici con svastiche, simboli solari – Ph. © Stefano Contin
«Nei prati di Sibari crescevano le fragole tra i fiori e l’erbe odorose. Quivi le api non cessavano in tutto l’anno di lavorare un miele dolcissimo. E quasi quel suolo secondar volesse in tutte le stagioni la golosità de’ suoi abitanti, alimentava una vite detta Tarrupia, che portava grappoli anche nel cuor dell’inverno. Oltrechè Sibari, in mezzo a due fiumi pescosi, e vicino ad un mare popolato d’ogni generazione di pesci, poteva avere senza disagio quanto le acque danno di più delizioso al palato»
Romualdo Cannonero, 1876

Scorcio della Piana di Sibari. Alle spalle il massiccio del Pollino – Ph. © Stefano Contin
Scorcio della Piana di Sibari. Alle spalle il massiccio del Pollino – Ph. © Stefano Contin

«Se non fossero andati perduti i libri di Timeo, di Filarco edi altri antichi, di cui Ateneo ci serbò qualche passo intorno ai costumi dei Sibariti, noi avremmo a stupire del sontuoso banchettare di questo popolo, e dei raffinamenti ch’egli recò all’arte di cucinare e insapor le vivande. [Ateneo] riferisce che a Sibari gli apparecchiatori delle mense, i quali trovavano nuove fogge di splendidezza all’apparato dei conviti, e i cuochi che sapevano condire i cibi di squisitezze nuove, erano premiati di corone d’oro, celebrati nelle sacre feste e nei pubblici giochi con quegli onori, che presso gli altri popoli solevansi tributare agli eroi ed ai salvatori della patria. Era legge che se un cuoco di sua privata industria avesse inventato una nuova, appetitosa vivanda, nessuno, salvo che l’inventore, ne potesse far uso prima dell’anno seguente, perché egli solo traesse guadagno dalla sua invenzione: volendo con tal privilegio incoraggiare gli altri cuochi al perfezionamento dell’arte (…)»
Romualdo Cannonero, 1876

Armenti al pascolo, Piana di Sibari – Ph. © Stefano Contin
Armenti al pascolo, Piana di Sibari – Ph. © Stefano Contin

Mentre a Sibari i cuochi popolavano le case dei ricchi, ed erano considerati fra i cittadini più benemeriti e degni d’onore, i Romani non avevano ancora fornai e le donne loro facevano il pane in famiglia (…). A Sibari le ricche famiglie salariavano i cuochi a legioni. Smindiride allorché si presentò alla corte di Clistene, era seguito da mille fra cuochi, cacciatori e pescatori (…). I cuochi di Sibari erano ingegnosi a manipolare quelle salse che sono più atte a stuzzicare i palati sazi di ogni buon cibo. Il garo è una loro invenzione. Gli antichi lo riducevano a guazzetto, stemperandolo con l’aceto, o col vino, o con l’olio. Esso mantenevasi in altissimo credito ancora al tempo della maggiore ghiottoneria romana, ed era una delle più gustate salse alla mensa dell’imperatore Eliogabalo (…) . Seneca chiama sanie questa sibaritica salsa, e Marziale la chiama fece.»
Romualdo Cannonero, 1876

Coppia di asini e una cicogna nella Piana di Sibari – Ph. © Stefano Contin
  1. Coppia di asini e una cicogna nella Piana di Sibari – Ph. © Stefano Contin

«Favoriti dal benigno cielo di Sibari gli oliveti e le vigne recavano frutti in sì meravigliosa abbondanza, che divennero le due principali sorgenti della ricchezza de’Sibariti (…). I Sibariti che traevano dai loro oliveti una immensa quantità di olii pregiatissimi, possedevano dunque un tesoro che rinnovavasi tutti gli anni (…). Un’altra inesauribile fonte di lucro pei Sibariti era il commercio del vino, come appare dalla foglia di vite ch’essi ponevano nelle loro monete. E non meno che gli olii erano celebrati i vini di Sibari (…). Per agevolarne lo spaccio i Sibariti avevano scavato delle cantine presso il lido del mare, alle quali per vie sotterranee trasportavanli dalle campagne, e li mandavano in paesi meno che Sibari favoriti dal cielo…»
Romualdo Cannonero, 1876

Un tratto della costa di Sibari – Ph. © Stefano Contin
Un tratto della costa di Sibari – Ph. © Stefano Contin

«L’esuberanza dei doni della terra li aveva spinti al commercio che essi estesero con la navigazione dall’estremo oriente all’estremo occidente del Mediterraneo, potendo la poca distanza che li separava dal lido essere facilmente superata per l’acqua del Crati…»
Romualdo Cannonero, 1876

Una valle della Sibaritide, quella del torrente Raganello - Ph. © Stefano Contin
La valle del torrente Raganello, nella Sibaritide – Ph. © Stefano Contin

«Fecondissime erano non meno le valli poste fra i monti sovrapposti al mare…»
Nicola Leoni, 1862

Il corso del fiume Crati nei pressi della foce – Ph. © Stefano Contin
Il corso del fiume Crati nei pressi della foce – Ph. © Stefano Contin

«Gli antichi attribuirono prodigiose virtù ai due fiumi Sibarys e Crati, e i canti dei poeti ne ornarono fantasticamente le rive. Sulle sponde del Sybaris, Cigno trasformato da Marte in uccello del medesimo nome si era sposato ad una gru…»
Romualdo Cannonero, 1876

Capretta al pascolo lungo la costa della Sibaritide – Ph. © Stefano Contin
Capra al pascolo lungo la costa della Sibaritide – Ph. © Stefano Contin

«Le greggi che bevevano al Crati divenivano bianche; nere quelle che bevevano al Sybaris. Il primo faceva la pelle candida e morbida, e i capelli aurei e distesi a chi si lavava nelle sue acque; al contrario il secondo la pelle ruvida e bruna e i capelli neri e ricciuti…»
Romualdo Cannonero, 1876

Tratto del fiume Crati presso la foce – Ph. © Stefano Contin
Tratto del fiume Crati presso la foce – Ph. © Stefano Contin

«Il Crati rendeva feconde le pecore, e il Sibarys gli uomini generativi…»
Romualdo Cannonero, 1876

La foce del fiume Crati – Ph. © Stefano Contin
La foce del fiume Crati – Ph. © Stefano Contin

«Presso la foce dell’uno era venuta a rifugiarsi Anna sorella di Didone; sulla riva dell’altro conservavansi in un piccolo tempio l’arco e le frecce ch’Ercole aveva consegnato a Filottete…»
Romualdo Cannonero, 1876

Cavallo sulle rive del Mar Jonio, nella Sibaritide – Ph. © Stefano Contin
Cavallo sulle rive del Mar Jonio, nella Sibaritide – Ph. © Stefano Contin

«[A Sibari] il pranzo era rallegrato da suoni, da canti e da balli; se non che in luogo di leggiadre danzatrici, introducevansi ne’ banchetti cavalli ammaestrati a ballare al suon delle tibie. A certe sinfonie quei docili e intelligenti quadrupedi rizzavansi sulle zampe di dietro, e colle zampe dinanzi gesticolando a guisa dei pantomimi, e muovendo le groppe a cadenza di musica, ballavano a sollazzo de’ convitati…»
Romualdo Cannonero, 1876

La spiaggia di Sibari – Ph. © Stefano Contin
La spiaggia di Sibari – Ph. © Stefano Contin

«Si vuole che nella spiaggia del mare, posta fra i due fiumi Crati e Sybaris, molte navi greche che tornavano da Troia furono bruciate, mentre i Greci per ristorarsi un poco dal lungo viaggio eran discesi nel lido. Essi portavano prigioniere alcune donne troiane, le quali afflitte dalla triste sorte della loro patria e dalla loro presente sventura, e stanche del lungo cammino, deliberarono d’ivi morire meglio che rimettersi in mare, tanto più che arrivando in Grecia, non speravano miglior ventura che quella di essere schiave. Affinché meglio potessero dare effetto alla loro decisione, per consiglio di una di esse chiamata Setea, appena furono sbarcati tutti gli uomini, appiccaron fuoco alle navi e tutte le ridussero in cenere.»
Domenico Marincola Pistoja, 1845

La foce del fiume Crati al Crepuscolo – Ph. © Stefano Contin
La foce del fiume Crati al Crepuscolo – Ph. © Stefano Contin

«…Sul lido del mare fra l’uno e l’altro fiume era stata inchiodata in croce la troiana Setea, la quale per liberare sé e le compagne dalla cattività dei nemici, aveva bruciato le navi che le conducevano in Grecia. La Storia non si diletta di favole; tuttavia qui esse giovano a mostrare che la città di Sibari doveva essere venuta in grande rinomanza nel mondo, se tanto furono celebrati i due fiumi fra i  quali era posta.»
Romualdo Cannonero, 1876

Il mare di Sibari – Ph. © Stefano Contin
Il mare di Sibari – Ph. © Stefano Contin

«Dai Sibariti si dice esser stata pure inventata l’arte di tesser le penne degli uccelli variamente colorate, delle quali essi formavano dei tessuti molto pregevoli. E Aristotele ci racconta che regnando Dionisio il vecchio, un Sibarita di nome Alcistene fece una veste di piume di color di porpora tessute meravigliosamente, la quale era pure nobilmente fregiata di pietre preziose. Questa, portata a vendere nella fiera che si faceva ogni anno a Crotone nel tempio di Giunone Lacinia, in cui approdava gente da tutte le parti d’Italia e da altri regni ancora, destò moltissima meraviglia in chiunque la vedeva; e, comperata da alcuni mercanti cartaginesi per centoventi talenti, fu da quelli portata nella lor patria per onorarne la statua di Giunone. Ma non questi solo erano i pregi di questa meravigliosa veste; perché, al dire dello stesso scrittore, la sua larghezza era di quindici cubiti [6.60 metri], il colore di porpora (…) ed aveva il fondo tutto sparso di molte e varie generazioni di piccoli animali. Nella parte superiore si vedeva effigiata la città di Susa, e nel lembo la Persia; nel mezzo poi vi splendevano le immagini di Giove, Giunone, Temi, Pallade, Apollo e Venere; e da un lato era il ritratto dello stesso artefice Alcistene, e la città di Sibari sua patria dall’altro…»
Domenico Marincola Pistoja, 1845

Gruccione, Piana di Sibari – Ph. © Stefano Contin
Gruccione, Piana di Sibari – Ph. © Stefano Contin

«All’avvedutezza dei suoi primi fondatori dovette Sibari l’esser piantata vicino al mare in una larga e fertile pianura, irrigata dal Crati navigabile e dal Sybaris…»
Nicola Leoni, 1862

Il mare di Sibari – Ph. © Stefano Contin
Il mare di Sibari – Ph. © Stefano Contin
«…Ma mentre gli abitanti potevano trarre da una sì felice posizione tutti i vantaggi dell’agricoltura e del commercio interno, il loro spirito animoso par che volgesse di buon’ora tutta la sua capacità al traffico di mare. Molti prodotti di un suolo fecondo, fatto esuberante dalla coltivazione, porgevano agli industriosi coloni copiosa materia di permuta, cui dava valore un’ampia e rapida circolazione, mediante la loro consumata perizia nella nautica.»
Nicola Leoni, 1862

Primavera negli scavi di Sibari – Ph. © Stefano Contin
Primavera negli scavi di Sibari – Ph. © Stefano Contin
«…Questo lucroso commercio si estendeva non solo al continente della Grecia e alle isole dell’Egeo, ma si allargò benanche alla riviera della Ionia (…). Mediante anche la conquista, che prima aveva fatto della importante città di Pesto, si estesero anche nel Tirreno il commercio ed il potere di Sibari, la quale con pari felicità dedusse da quel versante le due colonie di Laos e di Scidro.»
Nicola Leoni, 1862

Il mare di Sibari durante un acquazzone – Ph. © Stefano Contin
Il mare di Sibari durante un temporale – Ph. © Stefano Contin

«[Dopo la distruzione di Sibari ad opera dei Crotoniati] , gli Ateniesi, essendo arconte Callimaco, ricevuti ed uditi i legati Sibariti, e accolta l’ambasciata seguendo i consigli di Pericle, convennero di aiutarli. Sicché, pubblicato in tutto il Peloponneso che essi, proteggendo quella colonia, avrebbero favorito tutti coloro che vi si fossero voluti trasferire, equipaggiata una flotta di dieci vascelli, molti Ateniesi e numerosa gente raccolta dagli altri stati della Grecia si imbarcarono per venire in Italia, sotto il comando dei due capitani Lampone e Xenocrito e guidati dall’Ateniese Ierone. Però prima di partire, consultato l’oracolo di Apollo, fu risposto loro che qualora avessero voluto prosperare, dovevano riedificare la città non nell’antico sito, ma in quel luogo ove trovando mediocre quantità di acqua avrebbero avuto grande abbondanza di pane…»
Domenico Marincola Pistoja, 1845»

Negli scavi di Sibari – Ph. © Stefano Contin
Negli scavi di Sibari – Ph. © Stefano Contin

«…Dopo un prospero navigare, la spedizione giunse felicemente alla spiaggia del mare sibaritico…»
Domenico Marincola Pistoja, 1845»

Il mare di Sibari al tramonto – Ph. © Stefano Contin
Il mare di Sibari al tramonto – Ph. © Stefano Contin

«…La prima cosa però che fecero fu di trovare il luogo designato loro dall’Oracolo per la riedificazione della nuova città…»
Domenico Marincola Pistoja, 1845

Il mare di Sibari e il massiccio del Pollino al tramonto  – Ph. © Stefano Contin
Il mare di Sibari e il massiccio del Pollino al tramonto – Ph. © Stefano Contin

«…Fu rinvenuta da costoro non lontano da Sibari una fontana, appellata Turio, che versava le acque da un canale di bronzo dai vicini abitanti chiamato Medimno; e giudicando esser quello il luogo dall’Oracolo indicato ad essi per veder fertilissime quelle terre; riunitisi ai pochi Sibariti rimasti, e tenute a bada le ostilità dei Crotoniati contro di loro, fabbricarono in quel luogo la città novella…»
Domenico Marincola Pistoja, 1845

Il mare di Sibari al tramonto – Ph. © Stefano Contin
Il mare di Sibari e il massiccio del Pollino al tramonto – Ph. © Stefano Contin

«Nel buio ripassai dalla stazione che porta il nome di Sibari; e via via lungo il mare, da cui spesso mi raggiungeva il suono delle onde…»
George Gissing, 1901

Le risaie di Sibari al tramonto – Ph. © Stefano Contin
Le risaie di Sibari al tramonto – Ph. © Stefano Contin

«Che la Bellezza, odimi bene, Fedro, la Bellezza soltanto è divina e visibile a un tempo, ed è per questo che essa è la via al sensibile, è, piccolo Fedro, la via che mena l’artista allo spirito.»
Thomas Mann, 1912

Toro cozzante, bronzo, V sec. a.C.
Toro cozzante, bronzo, V-IV sec. a.C., Museo Archeologico Nazionale, Sibari

                                                                                                               (dal sitoweb: https://www.famedisud.it/ )

giovedì 20 febbraio 2020

suicidi ed incubi nell'italia di rothschild. Solo lo "Stato" è colpevole

In uno "Stato" senza nessuna sovranità, nelle mani del capostrozzino e caporabbino Rothschild, il Popolo Italiano è costretto a vivere nella sofferenza con incubi senza fine.

il commerciante calabrese Roberto Corsi si ribella allo Stato e alle leggi fiscali ingiuste

Roberto Corsi, commerciante nella città di Montalto Uffugo, è stato il primo imprenditore italiano a rifiutarsi, come dice lui, di pagare il pizzo allo "Stato". 

martedì 18 febbraio 2020

...e poi sono arrivati i telefonini e molti ragazzi passano lunghe ore in chat

I telefonini che hanno distrutto una intera generazione. Una 13enne che vive a Houston, Texas, ha trascorso la maggior parte della propria estate da sola in camera in chat con i propri amici. I nostri ragazzi non amano più giocare all'aperto, correre, muoversi. Quasi tutti ormai sono chini sul loro telefonino per comunicare al mondo intero il loro niente.

domenica 9 febbraio 2020

Terra Rossa - Istria, Fiume e Dalmazia...

Testo Terra Rossa

Terra rossa, terra mia
Quando sono andato via
Ho affidato a te il mio cuore
Ti ho giurato eterno Amore
Casa mia, terra mia
Terra rossa, sangue mio
Rosso il sangue dei miei padri
Massacrati ed infoibati
Sangue il pianto dei miei padri
Esiliati ed umiliati
Terra e sangue ho nel mio cuore
Terra rossa, dolce amore,
lacrime della mia gente
Terra rossa che non sente
Il dolore mai lontano
Del popolo Istriano

Vojo tornar, voglio tornare
Vojo tornar, voglio tornare
A casa mia!
Istria, Fiume e Dalmazia
Né Slovenia, né Croazia
Terra rossa, terra Istriana
Terra mia, terra Italiana!
Istria, Fiume e Dalmazia
Né Slovenia, né Croazia
Terra Dalmata e Giuliana
Terra mia, terra Italiana!
Questa terra mi appartiene
Terra nostra per la storia
Nel mio sangue la memoria
Terra e sangue sempre uniti
Non possono esser divisi
Terra mia santificata con il sangue
Terra sacra
Questa è la mia religione
Unità della Nazione
Religione insanguinata
Religione della Patria
Terra pazzamente amata
Terra mai dimenticata
Ogni vero Italiano è anche Dalmata e Giuliano

Vojo tornar, voglio tornare
Vojo tornar, voglio tornare
A casa mia!
Istria, Fiume e Dalmazia
Né Slovenia, né Croazia
Terra rossa, terra Istriana
Terra mia, terra Italiana!
Istria, Fiume e Dalmazia
Né Slovenia, né Croazia
Terra Dalmata e Giuliana
Terra mia, terra Italiana!